Il nido delle parole è nel Silenzio: è dal suo abbraccio intricato di rose e di spine che poi le parole spiccano il volo.
Più il tempo passa e più mi è difficile riprendere a volare in questo spazio.
Non che io abbia smesso di scrivere o di fotografare, solo non l’ho fatto qui: non è stata una cosa voluta, ci si è messo anche il Covid, ma alla fine la “danza sospesa” di cui parlavo nei miei due ultimi post è diventata una cosa anche mia e sono trascorsi alcuni mesi. Avevo bisogno di fare il mio nido nel Silenzio.
Ho scritto, e ancora scrivo, su di una risma di fogli che ho fatto spiralare. Fotografo il cielo dalla finestra di casa o i papaveri e l’erba camminando per le strade del mio quartiere di periferia.
Ho fotografato molte cose: tutte quelle su cui si è posato il mio sguardo, tutte quelle che lo hanno chiamato.
Un volo di pure forme d’erba
I papaveri nascosti, papaveri di quartiere, papaveri di periferia che nessuno degna di un primo sguardo – figuriamoci di un secondo – ma io so che ci sono, anche quando passo lì vicino sul bus per andare in centro – so che loro lo sanno che la mia anima li guarda, i miei fiori preferiti.
Una rosa e il suo bocciolo nascosti nella luce
Il Sole velato all’alba e l’alba stessa – dallo stesso nome ma diversa ogni giorno –
I vetri rigati di pioggia, gocce infinite, perle che riflettono il cielo.
Il verde luminoso di una bottiglia con dentro un tesoro di erbe.
Una foglia con l’arcobaleno addosso (era la foglia prigioniera di un precedente post, l’ho liberata e portata con me, i cristalli appesi alle finestre hanno fatto il resto).
La mia clessidra, con dentro il cielo
La casa che mi contiene, quella che indossa i miei colori.
Spritz, il cane a cui appartengo ( meglio, diciamo che ci apparteniamo, randagi come siamo).
Un papavero a cui ho tolto i colori perché diventasse soltanto luce nella Luce.
E ho pure ricevuto un dono: due gabbiani in volo di cui mi sono accorta solo dopo, quando ho rivisto la foto.